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Tra prefabbricati e tabacchificio – quale futuro?

Pubblichiamo di seguito un contributo a firma di numerosi componenti dell’Antenna Ecomuseale di Leverano, rispetto alle trasformazioni attualmente in corso nell’area dell’ex tabacchificio sull’area mercatale a Leverano.
Qualora vi siano altri interventi su questo stesso tema, da parte di altri componenti dell’Ecomuseo, cureremo di pubblicarli in modo analogo, per mostrare differenti punti di vista (spedire i contributi a ecomuseo.terradarneo@gmail.com)

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Un pezzo importante di Leverano sta cambiando sotto i nostri occhi, una parte della nostra storia prenderà presto un aspetto del tutto diverso.

L’ex-tabacchificio dell’area mercatale era stato incluso, fin dall’approvazione del PPTR nel 2015, nella cosiddetta “Città Consolidata”, un’area che racchiude la città edificata nella prima metà del ‘900, Un vincolo non assoluto, ma importante da considerare, in funzione dei singoli progetti e degli impatti delle trasformazioni conseguenti.

Come Ecomuseo, abbiamo inoltre inserito l’ex-tabacchificio nell’elenco dei beni importanti per la comunità, all’interno dell’Atlante del Patrimonio di Comunità, un elenco che impegna l’Amministrazione Comunale a considerare con particolare riguardo i beni in esso inclusi, qualora vengano presentati progetti che li riguardano, ma naturalmente quanto vediamo in opera riguarda permessi richiesti in un periodo ben precedente, in cui l’Atlante e la scheda sul tabacchificio non erano ancora stati presentati ed approvati.

Quanto sta accadendo è quindi del tutto corretto e legittimo dal punto di vista legale e procedurale; come Componenti dell’Antenna Ecomuseale di Leverano, come membri della comunità, sentiamo in ogni caso il dovere di testimoniare gli effetti sulla comunità di quanto sta accadendo, delle trasformazioni in corso.

Elaborazione 2-4

Come Componenti dell’Antenna Ecomuseale di Leverano, Cittadini ed Associazioni, abbiamo deciso che questo fosse il momento per un comunicato, vorremmo infatti che questo evento fosse uno spartiacque, vorremmo un futuro in cui, in casi analoghi, le cose possano prendere direzioni diverse.

E’ per questo che stiamo lavorando ogni giorno, implementando l’Atlante del Patrimonio di Comunità, è per questo che abbiamo presentato suggerimenti per il nuovo piano urbanistico, per aumentare la trasparenza sui nuovi progetti e facilitare il coinvolgimento della comunità fin dall’inizio, in decisioni che riguardano noi tutti e la nostra storia comune.

Perché per Leverano, invece di un paesaggio di anonimi capannoni, vorremmo un domani diverso, che celebri le radici del nostro passato, che le sappia valorizzare per creare un’economia stabile ed una crescita equa, con vantaggi diffusi per tutti ed attenzione ai luoghi, quei luoghi che ci raccontano, diversi da qualsiasi altro luogo, che ci rendono unici di fronte al mondo.

I componenti dell’Antenna Ecomuseale di Leverano:

Valentino Traversa
Monia Chirizzi
Angela Durante
Ignazio Genna
Ilaria Lecciso
Filomena My
Paolo Paladini
Leonardo Tondo
Luigi Tondo
Fernando Vantaggiato
Assunta Zecca

Le Associazioni componenti l’Ecomuseo:

Circolo Tandem
Legambiente Leverano e della Terra d’Arneo
Novellando Teatri d’Arte

Nebbie, alberi e Xylella: in cerca del paesaggio futuro

Contributo a cura del Dott. For. Valentino Traversa

Nell’ultima settimana di ottobre 2019, complici le temperature molto più alte della media del periodo, l’Arneo è stato avvolto dalle nebbie.

Alle alte temperature si è poi sommata l’assenza delle piogge, per cui il terreno presentava in una veste inusuale per il periodo, pressoché completamente inaridito e privo della nuova vegetazione.

Si tratta di serie climatiche che si manifestano con sempre maggior frequenza, legate al progressivo aumento delle temperature, con associata una forte instabilità climatica, per cui già possiamo prevedere, quando alla fine un fronte freddo riuscirà a penetrare nella bolla di calore che ci avvolge, piogge a carattere torrenziale, con associati allagamenti e grandinate di notevole intensità.

Da un punto di vista scientifico, un cambiamento climatico continuo, progressivo ma concentrato in pochi decenni è un fatto unico ed è necessario, oltre a combattere le cause antropiche che producono questo effetto, interrogarsi sulle interrelazioni tra il cambiamento in corso ed le modifiche locali dell’ambiente che ci circonda, frutto di abitudini culturalmente fissate, abitudini che potevano essere tollerabili in un clima più stabile, ma che adesso possono produrre fattori capaci di moltiplicarsi a vicenda, causando danni gravi.

L’estate del 2019, sebbene più ricca di precipitazioni dell’usuale, ha comunque visto il ripetersi di abitudini inveterate che tanto danno provocano all’ambiente, ossia l’abitudine ad appiccare il fuoco ad ogni area naturale, ad ogni popolamento vegetale che non sia frutto di coltura agricola.

Ad esempio, per citare aree che frequento abitualmente, all’inizio delle’estate è stato appiccato il fuoco in zone di macchia e pseudosteppa alla Fichella, nell’agro di Leverano, nonché a vaste aree con vegetazione a macchia e pseudosteppa al di sopra del Bacino Grande nel territorio di Porto Cesareo, all’interno della Riserva naturale “Palude del Conte e duna costiera“.

Purtroppo bisogna anche osservare come questi eventi sono diventati particolarmente frequenti negli ultimi anni, a causa di una sorta di “caccia all’untore” scatenata da una cattiva comunicazione sul tema Xylella, che non ha mai affermato l’ovvio, ossia di come nelle aree naturali la concentrazione della sputacchina (Philaenus spumarius) sia estremamente limitata, per via dei numerosi predatori e parassitoidi naturali che le aree naturali ospitano.

Per un buon conoscitore delle specie della macchia mediterranea non è difficile, ad esempio, rendersi conto di come le piante di macchia che subiscono disseccamenti per effetto della Xylella (come il mirto) siano solo quelle situate in prossimità degli olivi coltivati, mentre all’interno delle aree di macchia le piante non presentano alcuna sintomatologia: è la macchia che viene danneggiata dalla Xylella presente negli oliveti e non il contrario, anzi, potremmo affermare che la presenza di habitat stabili che ospitano le specie predatrici della sputacchina, come le siepi mediterranee, costituisca un fattore di rallentamento nella progressione dell’infezione.

Tornando ai popolamenti vegetali a macchia e pseudosteppa presenti sulle alture di fronte alle coste di Porto Cesareo, la mancanza di precipitazioni autunnali ha fatto sì che dopo gli incendi dolosi di quest’anno anche i cespi delle graminacee tipiche della pseudosteppa, ossia Cymbopogon hirtus (L.) Janchen non siano riusciti a rivegetare, ma cosa significa questo in pratica, ossia quali sono gli effetti diretti ed a breve termine di un evento del genere sulla popolazione?

Di norma, infatti si parla in termini generali, su scala mondiale, ma non si entra nel merito come si dovrebbe, parlando del cosiddetto “valore ecosistemico“, ossia di come il funzionamento delle aree naturali ci faccia risparmiare spese talora estremamente ingenti o prevenire rischi per la popolazione.

La prima osservazione da fare riguarda proprio le nebbie: in una condizione climatica limite la presenza di umidità al suolo può fare la differenza tra un popolamento vegetale come la pseudosteppa e la desertificazione.

Consideriamo queste due foto prese nella stessa mattinata, dopo mesi di mancanza di precipitazioni:
Terreno bagnato
Terreno asciutto
in una si vede del terreno bagnato, dovuto al fatto che si trova al di sotto di alcuni pini d’Aleppo superstiti agli incendi – durante le mattinate nebbiose sotto agli alberi pioveva letteralmente, perché le loro chiome funzionavano come reti per catturare le microgocce di umidità sospese nell’aria; nell’altra, scattata a pochi metri di distanza, al di fuori della chioma degli alberi, il terreno è duro e completamente asciutto, perché non vi era né la presenza d’alberi né quella di steli d’erba (anche secca), che riuscissero a catturare l’umidità ambientale.

Ma senza umidità, come si diceva, neanche le resilienti graminacee riescono a germogliare, dopo che la loro parte aerea è stata distrutta dal passare del fuoco, quindi stiamo creando tutti i presupposti perché né l’erba né gli alberi riescano più a crescere in questo luogo e questo, a sua volta, peggiora e rende più acute le condizioni climatiche, sia come riduzione delle precipitazioni, sia come aumento degli effetti dei venti.

Questi due effetti implicano una diminuzione dell’acqua assorbita dal suolo e conseguentemente, diminuendo l’acqua che arriva in falda, si aumenta la salinizzazione dell’acqua dei pozzi.

Ma non solo: l’effetto immediato più importante dell’avere ridotto un paesaggio ad uno scheletro è che, quando come si diceva arriveranno le precipitazioni temporalesche, le cosiddette “bombe d’acqua”, la capacità della vegetazione di frenare, far assorbire nel suolo e regimare l’acqua di questi eventi verrà a mancare: cosa succederà allora alle case poste ai piedi di queste alture, ossia all’intero abitato di Porto Cesareo, ed in particolare alle case e stabilimenti balneari posti vicino alle zone di compluvio, come vicino alla zona dei bacini?

Ci aspettiamo uno scorrimento superficiale dell’acqua impetuoso, che trascinerà via quanto rimane del suolo per portarlo a valle, verso gli insediamenti residenziali e turistici, con danni potenziali che è difficile stimare se non nell’ordine di grandezza – sicuramente parliamo di milioni di euro.

L’acqua, da portatrice di vita quando assorbita dai terreni e filtrata per giungere in falda, si trasformerà in potatrice di distruzione, non trovando più il modo giusto di entrare nei cicli naturali di crescita.

Con l’effetto che le colline resteranno con meno suolo (per produrre un centimetro di suolo occorrono circa 100 anni, per questo si dice che è una risorsa non rinnovabile alla scala temporale umana), quindi meno vegetazione, meno capacità ancora di captare acqua e di regimarla.

Bisognerebbe finire qui, ma la cosa ahinoi, riguarda adesso anche le aree degli oliveti, danneggiati o distrutti dalla Xylella: se la società pugliese non riuscirà a trovare la forza per un riutilizzo compatibile dei terreni olivetati, che comprenda alberi ed arbusti oltre alle colture annuali, i danni saranno di questo tipo, ma esponenziali.

Adesso è il momento di agire, per determinare la direzione del futuro comune, chiudiamo ad esempio con le foto dell’area prima degli incendi, senza ulteriori commenti.

Prima 4

Appunti dal Forum Nazionale “Ecomusei e territorio – quale futuro?” – Terza parte

Foto di copertina di Luigi Tondo – Impasti – relazioni e pattern identitari.

Continua dalla seconda parte.

Dalla Regione Lombardia abbiamo poi avuto il piacere di ascoltare Grazia Aldovini, della Direzione Generale Autonomia e Cultura AESS.

Secondo la Relatrice, l’esperienza Lombarda nasce dalla lettura dei valori ecosistemici e paesaggistici e dal trovare attività periodiche (alcune delle quali con ricorrenza poliannale, come la “Santa Crus” dell’Ecomuseo Concarena Montagna di Luce, che si ripete ogni dieci anni).
La distanza temporale che separa il ripetersi degli eventi, insieme con la loro ritmicità, permette la crescita di un senso di aspettativa che permea la percezione di una ricorrenza, che diviene così capace di unire insieme generazioni diverse, concentrando al meglio le energie delle comunità.

Altrettanto importante è poi il senso di apertura verso l’esterno, strettamente connesso alla nascita di un “sé” distinto, nell’evoluzione identitaria di una comunità.
In questo senso, la definizione di ecomusei come “una comunità che riflette su se stessa, su cosa la rende unica e distinta dalle altre”, continua idealmente in “e capace di presentarsi al mondo”.

In questo senso va la presentazione, da parte della Relatrice Grazia Aldovini, della piattaforma “Intangible Search” della Regione Lombardia, un inventario del patrimonio immateriale che diviene centro per la catalogazione, capace di “tastare il polso” con continuità al patrimonio di comunità, riuscendo al contempo a valutare la capacità “legante” di nuove iniziative ed eventi.

Maria Rosa Bagnari, dell’Ecomuseo Erbe Palustri di Villanova di Bagnocavallo, ci ha permesso poi di apprezzare la sincerità alla base dell’autentica azione ecomuseale.

Quella dell’Ecomuseo Erbe Palustri è la storia di una singola esperienza che si evolve naturalmente, divenendo rete di pratiche.
Anche per l’Ecomuseo Erbe Palustri, come spesso accade, l’origine è una criticità, la quasi estinzione della tradizione di lavorazione del giunco, un sapere artigianale che nel passato costituiva il fulcro della Comunità.

Solo grazie all’iniziativa dei singoli (tra i quali indispensabile il ruolo della nostra Relatrice), si è arrivati al recupero delle tecniche che stavano svanendo, con risultati che hanno portato, nel proseguire le attività, a svolte inattese.
Da quel fuoco iniziale di passione e tenacia è nata la riscoperta del sentirsi Comunità, che ha visto le persone coinvolte nelle diverse attività dell’Ecomuseo fino alla fine (da parte dei più anziani partecipanti c’è stata la richiesta, poi esaudita, di avere il simbolo dell’Ecomuseo inciso sulla propria lapide commemorativa), ma anche una nuova attenzione al territorio, alle zone umide che stavano sparendo, al fiume come elemento di connessione delle diverse comunità con il paesaggio ed ai saperi artistici ed espressivi tradizionali.

In questo modo, quello che era partito come esperienza singola, ma basata su un sincero sentire, è divenuto nel tempo stimolo, per altre azioni e nuovi progetti, al comunicare e connettersi con le comunità vicine (connessione che è arrivata fino al gemellaggio con l’Ecomuseo di Acquarica del Capo, nel Salento) e a trovare la forza per presentarsi al mondo con una forte identità condivisa, articolata nelle distinzioni fra i singoli comuni.

Continua nella quarta (ed ultima) parte.

Appunti dal Forum Nazionale “Ecomusei e territorio – quale futuro?” – Seconda parte

Continua dalla prima parte

Un altro intervento molto significativo è stato quello di Nerina Baldi, Direttrice del Sistema Ecomuseale di Argenta e componente del Coordinamento Nazionale degli Ecomusei.

La Relatrice ha fatto il punto della situazione, indicando, in particolare, le direzioni di scambio di esperienze e ricerca che stanno avendo luogo a scala nazionale.

Un focus di ricerca attiva riguarda i progetti portati avanti dagli ecomusei nel campo del sociale e della micro-economia dei territori.
L’equilibrio degli ecomusei – ci riferisce Nerina Baldi – si sta spostando in modo da favorire concetti dinamici di operatività, rispetto ad un’ottica di pura catalogazione e conservazione.
Si sta affermando una visione secondo la quale, per rinsaldare i legami tra comunità e territori, occorre considerare l’interezza delle relazioni che ivi si svolgono, cercando di trovare i modi in cui l’ecomuseo possa intervenire sui processi in corso, proponendo direzioni alternative che rafforzino il senso dei luoghi e la loro identità.

Dunque, alle tradizionali attività di riscoperta, tutela ed informazione-educazione, si aggiungono le possibilità di creazione ed innovazione, attraverso le quali l’ecomuseo può divenire luogo d’incontro e comunicazione tra parti diverse della società.
È un processo attraverso cui arrivare alla creazione di una visione condivisa di futuro, un patto in cui anche le attività economiche, a livello locale, vengono coinvolte, riconosciute e responsabilizzate come elementi essenziali del territorio.

Diventa quindi essenziale, come priorità emergente, anche la capacità di interfacciarsi con i Piani di Sviluppo Rurale e Locale: il ruolo di un ecomuseo può divenire anche quello di aiutare a definire le direzioni ed i parametri affinché lo sviluppo perseguito dai Piani agisca nel senso di aumentare la coerenza di comunità e territori.

La facilitazione ecomuseale trova così nuovi orizzonti di espressione, permettendo il dialogo tra settori diversi ed aiutandoli a ritrovare il senso di un agire che sia sì economico, ma al contempo anche culturale, ecologico ed identitario.

Sull’esperienza “di rete” c’è stato poi l’intervento di Rita Auriemma, Professoressa dell’Università del Salento e Direttrice del Servizio catalogazione, formazione e ricerca dell’ERPAC (Ente Regionale PAtrimonio Culturale della Regione Friuli Venezia Giulia).

Dell’esperienza mutuata nel Friuli Venezia Giulia, la Prof.ssa Auriemma ha sottolineato l’importanza di portare avanti progetti che enfatizzino il “valore d’uso” del patrimonio di comunità.
L’intangibile, come anche i singoli beni del patrimonio, possono rimanere vivi unicamente nella loro continua ri-creazione da parte delle persone che si sentono parte di quella data comunità.

Possiamo immaginarli come sentieri: fino a che questi vengano percorsi con costanza, si mantengono aperti, diversamente tendono sempre ed inesorabilmente a scomparire, divenendo traccia storica di qualcosa che non è più.
Continuare a percorrere questi sentieri, che attengono sia allo spazio fisico (itinerari) che a quello mentale (identità) di una comunità, significa continuare a collegare, a tenere insieme le relazione tra patrimonio culturale e paesaggio.

Per riuscirvi, tuttavia, occorre spesso ripensare l’identità nella contemporaneità, riproporre l’eredità culturale e territoriale in chiave dinamico-evolutiva.

I modi per tenere aperte queste connessioni, queste “sinapsi di comunità” (in un parallelo con quello che affermava il premio Nobel Montalcini, sulla continua generazione, dissoluzione e rigenerazione delle sinapsi neurali negli individui) possono essere diversi; tra quelli sperimentati dalla rete del F.V.G. ci sono i “video di micronarrazione”, del Geoportale della Cultura Alimentare la cui realizzazione è affidata spesso agli studenti, in modo da renderli protagonisti creativi nella trasmissione dell’eredità culturale, rafforzando contemporaneamente la vitalità delle tradizioni ed il senso di appartenenza.

Continua nella terza parte

Appunti dal Forum Nazionale “Ecomusei e territorio – quale futuro?” – Prima parte

Si è chiuso oggi il forum organizzato dalla Regione Puglia sugli ecomusei, un incontro durato due giorni per mettere a confronto pratiche ed esperienze da tutta Italia.

L’organizzazione di un Forum di questa portata evidenzia in primo luogo l’importanza delle tematiche ecomuseali per la Regione Puglia: dopo la Legge Regionale sulla Partecipazione e gli incontri pubblici tenutisi per redigere la “Legge sulla Bellezza”, è infatti intenzione dell’attuale Governo Regionale di aggiornare la Legge Regionale sugli Ecomusei, arrivando a definire una Rete Regionale degli Ecomusei.

È stata, inoltre, la prima occasione in cui L’Ecomuseo Terra d’Arneo ha partecipato in modo ufficiale, dato il suo status di Ecomuseo d’Importanza Regionale, conseguente al suo recente riconoscimento nel corso di quest’anno.

L’introduzione, dell’Assessore Loredana Capone, ha in particolare messo l’attenzione sul ruolo degli ecomusei nel generare progetti esecutivi, capaci di rendere vivi gli attrattori, creati o recuperati grazie all’intervento regionale, nonché sulla necessità del coinvolgimento delle Amministrazioni Comunali, il tutto con lo scopo di far uscire la cultura dai recinti chiusi in cui talora la costringiamo, secondo una strategia di valorizzazione e crescita diffusa sull’intero territorio regionale.

Estremamente preciso, poi, l’intervento dell’Assessore Pisicchio, che è riuscito a condensare in poche parole l’essenza degli ecomusei, fondamentali nel mettere le Comunità al centro, recuperando i legami identitari con storia e territorio e costruendone progressivamente di nuovi in modo dinamico, consapevole e sostenibile nel tempo.

Dopo questi due primi interventi, si sono succeduti i relatori, tutti rappresentanti di altissimo livello del mondo della ricerca ecomuseale, che portano avanti da anni ricerche di confronto sulle diverse realtà nel mondo. Non potendo, per brevità, riportare in questa sede tutti gli interventi, ci concentreremo su quelli che più hanno saputo rappresentare uno spaccato di potenzialità e criticità da tenere in particolare considerazione nella realtà pugliese.

Raffaella Riva, del Politecnico di Milano, ha focalizzato il suo intervento sui diversi sistemi di governance degli ecomusei, evidenziando punti comuni e differenze.
Se consideriamo quale debba essere lo stato cui tendere da parte di un ecomuseo, spiegava la Prof.ssa Riva, questo dovrebbe comprendere il durare nel tempo, passando da una generazione all’altra, diventando un soggetto riconoscibile ed autorevole e mostrando al contempo una capacità di adattamento al variare delle condizioni.

Per questo è essenziale essere dotati di uno statuto pubblico, ed avere una forza iniziale basata non necessariamente sulla rappresentatività, specie all’inizio, ma sulla significatività, ossia su motivazioni identitarie di fondo forti e coerenti.
Come dire che le operazioni superficiali di marketing territoriale, volte solo alla presentazione di un territorio verso l’esterno, ma prive di un radicamento nel sentire delle comunità, sono destinate giocoforza ad avere vita breve, per quanto sostenute da risorse economiche nella fase di avvio.

Ma come costruire una buona governance? La Prof.ssa Riva ha presentato diverse realtà che operano oramai da diversi decenni in Europa e nel Mondo, osservando alcuni punti in comune:

– Scala dimensionale veramente corrispondente all’identità del territorio. Si tratta di saper riconoscere confini di appartenenza, spesso diversi da quelli amministrativi, ma ben distinti da quelli vicini; l’errore (o la tentazione) può essere quello di separare una parte di territorio non dotata di sufficiente forza identitaria, oppure, al contrario, quello di allargarsi a parti del territorio non congruenti, generando miscugli insapori. In questo senso, il chiedere alle comunità in quale territorio si identificano, in modo libero, al di là dei confini amministrativi, è la prima operazione di autodeterminazione necessaria alla nascita di un ecomuseo.

– Partecipazione come forte partenariato. È la capacità di un ecomuseo nello stringere relazioni multiple con soggetti profondamente diversi, ma presenti sul territorio, dalle associazioni di volontariato alle realtà produttive (imprenditori privati), da quelle educative (scuole ed università) agli organi di governo territoriale (Comuni, Provincie, Regioni).

– Capacitazione (empowerment) delle comunità. I partecipanti alle attività ecomuseali non sono semplici fruitori o spettatori; il coinvolgimento della comunità dovrebbe avvenire in ogni fase decisionale delle attività ecomuseali, il sapere esperto dovrebbe fornire l’appoggio tecnico-organizzativo, necessario a sviluppare processi complessi, ma lasciando sempre alla comunità il senso di essere protagonista ed interprete della propria identità.

– Chiarezza nelle regole di governance. Il necessario equilibrio tra l’avere una forma ben definita, in cui si sa “chi fa cosa” e l’adattabilità alle nuove spinte provenienti dal territorio. Ogni ecomuseo è un’esperienza unica, ma tutte dovrebbero essere case (il prefisso “eco” deriva da oikos, casa in greco) solide, aperte e ben gestite. Le attività all’interno di queste case saranno tutte quelle che permettono il rafforzarsi delle relazioni tra le comunità ed i luoghi, per cui non vi può essere una chiusura aprioristica, ma bisogna coltivare la capacità di essere sorpresi da ciò che emerge e dal saperlo usare in modo costruttivo.

Continua nella seconda parte