Dare voce alla biodiversità

Spesso, come stamattina, scelgo dove recarmi in escursione consultando la “chiarezza”, che potremmo definire come la connessione di tutte le cose – per accedervi occorre solo rilassarsi consapevolmente, rimanendo presenti alle sensazioni che si provano nell’istante presente. Sicché, stamane, prima dell’alba, sebbene mentalmente volessi andare in tutt’altro posto, la chiarezza mi suggeriva invece di andare altrove, cosa che naturalmente ho fatto.


In questi casi, infatti, mi diverto molto pensando a quale mai possa essere l’appuntamento misterioso verso cui sto andando, quello che attrae i miei passi e respiri, mentre attraverso le aree naturali che di volta in volta mi ospitano ed ispirano.


Così, in passato, mi è capitato di incontrare aquile e lupi – decisamente incontri inusuali nel civilizzato Salento; certo, come in tutte le cose, occorre anche sapersi comportare, simili incontri capitano a chi segue quanto scriveva John Muir nella seconda metà del 1800 “Solo andando da soli, in silenzio, senza bagagli, si può veramente entrare nel cuore della natura selvaggia.


E non solo, nell’andare, bisogna essere rispettosi, occorre sapersi fermare spesso, per ascoltare ed apprezzare: anche un bruco che mangia una foglia si sente distintamente, quando siamo nel cuore delle aree naturali, lontani dai suoni della civiltà dell’industria e  del consumo.


Sicché oggi, mentre ammiravo il sole attraversare le foglie di una densa copertura di lecci, ho sentito in lontananza il suono di passi sulle foglie secche, che si avvicinavano trotterellando.


Già avevo notato delle fatte (la popò) inusuali, diverse da quelle delle volpi, che vengono messe in bella mostra per segnare il territorio, queste erano più grosse e seminascoste tra le foglie cadute, chi mai poteva averle lasciate?


Mentre i passi si avvicinavano, rivelando con la loro intensità un animale di una certa dimensione, stavo già preparando la macchina fotografica, spostando la sensibilità ad iso 800, per via della poca luce che attraversa il fitto del bosco, aspettandomi di vedere presto uscire dalla vegetazione la familiare figura di una volpe, come in tanti altri buffi incontri avuti altre volte.


Ma … no, d’un tratto un orecchio bianco e nero mi paralizza dallo stupore, incredulo – un solo abitante del bosco ha questi colori così netti, possibile mai un incontro del genere durante il giorno?


Ed eccolo qui, trotterellare verso di me, fino ad arrivare a pochi metri dai miei piedi e fermarsi anche lui incuriosito: un bellissimo tasso, nel pieno del suo splendore e vigore di giovane adulto, ricoperto da una fitta pelliccia brizzolata ad annusare l’aria alzandosi sulle sue larghe zampe da orsetto (i tassi, come gli orsi, sono plantigradi, ossia poggiano l’intero piede a terra, tallone compreso).


Rido dentro di me, pensando alla sua vista ancor più debole della mia – da buon animale notturno il suo è un mondo fatto di odori e rumori e un essere umano silenzioso, che usa solo sapone di Marsiglia per lavarsi e sbarbarsi, senza nessun tipo di profumi aggiunti, deve essere per lui un ossimoro, la qual cosa mi lascia tempo per fotografarlo e poi addirittura filmarlo, prima che possa decidere per un dietro-front.


A me rimane la sensazione di un incontro importante, di un’altra creatura che non ha la parola ma chiede di essere rappresentata da qualcuno che ne difenda il diritto ad esistere, come anche il diritto delle nuove generazioni ad avere la possibilità, un giorno, di fare incontri come questo.


Ed è questa la ragione per cui è importante utilizzare piattaforme di citizen science per registrare le nostre osservazioni nella natura – recentemente, utilizzando osservazioni come questa, pubblicate su iNaturalist e quindi confluite nel GBIF (Global Biodiversity Information Facility), è stato possibile caratterizzare per ricchezza in biodiversità gli elementi della rete ecologica di Leverano, un passo importante confluito nel processo di pianificazione territoriale per il nuovo Piano Urbanistico di Leverano, per far sì che la natura d’Arneo abbia un futuro.

In difesa della biodiversità

Foto di Andrew Thompson – iNaturalist

Domenica scorsa, l’08/11/2020, ci siamo ritrovati numerosi (ma ben distanziati e con mascherina, naturalmente) all’ECOBLITZ, una giornata di rilevamento dei rifiuti in ambito rurale, organizzata da Legambiente Leverano e della Terra d’Arneo nell’ambito delle attività per l’Ecomuseo, i cui risultati, che saranno presto pubblicati, confluiranno nel primo Bilancio Ambientale di Leverano.

Centro della nostra esplorazione era il comprensorio della Fichella, un’area di più di 180 ettari di estensione, di cui un quinto (circa 36 ettari) costituito da aree a forte valenza naturalistica (macchia, pseudosteppa, siepi, prato-pascolo).
Come si può immaginare, abbiamo concentrato il nostro sguardo sulle tante criticità che volevamo mappare, rifiuti, aree percorse dal fuoco, siepi estirpate da non meglio identificati lavori sulle strade del comprensorio, eppure la bellezza dei luoghi, da cui distoglievamo gli occhi per portare avanti la nostra ricerca, è riuscita comunque ad entrare in noi, lasciandoci la sensazione di starci impegnando a nome di tutti gli animali, i fiori, gli alberi, che non hanno voce propria, che non possono sedersi ai tavoli di discussione, ma che hanno lo stesso diritto a vivere.


Il giorno dopo (questa mattina) sono uscito per inserire qualche ultima segnalazione, criticità presenti in zone periferiche che non eravamo riusciti a toccare, mentre tra gli oliveti fluttuava una nebbia luminosa e silente, in cui era piacevole immergersi, per chi ha familiarità con questi luoghi.


E’ infatti da diversi mesi che ho iniziato a censire la biodiversità dell’Arneo, percorrendone abitualmente le aree naturali ed inserendo le osservazioni raccolte sulla piattaforma iNaturalist, dove le segnalazioni, dopo essere state validate da altri appassionati naturalisti provenienti da tutto il mondo, vengono poi riportate sul GBIF (Global Biodiversity Information Facility), un database sulla biodiversità aperto ai ricercatori da tutto il mondo, una risorsa che permette di conoscere la distribuzione delle specie per poterne tutelare le popolazioni.


Di per sé è un gran divertimento – esattamente ieri ho superato le 1.000 osservazioni – soprattutto perché l’interazione con altri naturalisti permette di risolvere piccoli misteri, riportando la presenza di specie in luoghi in cui sono considerate assenti.
Quella di stamattina però non mi ha colto impreparato: questa specie era attualmente in cima ai miei desiderata, per cui quando ne ho visto un piccolo gruppo svolazzarmi intorno non ho avuto dubbi: codibugnoli!


Se volete realizzare una credibile imitazione di un codibugnolo, ecco la ricetta: prendete una piccola pallina da ping-pong, ricopritela interamente di piume ed attaccateci ad un’estremità un minuscolo becco ed all’altra una coda spropositatamente lunga. Se poi considerate che i loro nidi, realizzati con licheni intessuti con tele di ragno, hanno la forma di piccoli igloo con tonde aperture, avrete senz’altro già capito: i codibugnoli sono praticamente l’equivalente degli gnomi (o degli hobbit, volendo) per gli uccelli e la loro vivacità rende anche assai difficile fotografarli.
In ogni caso i “miei” sono riuscito a fotografarli, così aggiungendoli alla lista delle specie presenti alla Fichella, che contiene tutte le specie fin qui rilevate per il comprensorio.


Questi piccoli, buffi uccelletti apparsi dalla nebbia, sembravano volermi ricordare, una volta di più, per chi ci stiamo impegnando: per loro, e per far sì che gli occhi meravigliati dei nostri figli e nipoti possano ancora incontrarli, in una mattina un po’ magica di nebbia luminosa.


Ah già, sì, perché mi ero scordato di dire che i codibugnoli, a prescindere dai miei ‘desiderata’, nel Salento proprio non ci sono.
E no, non sono neanche uccelli migratori. Qualcosa, evidentemente, avranno pur voluto dirci, con la loro magica presenza, stamattina.

Valentino Traversa

Progetto di Bilancio Ambientale per Leverano

Legambiente Leverano e della Terra d’Arneo lancia una importante iniziativa, proponendo di raccogliere in maniera partecipata dati ambientali sul territorio di Leverano, in modo da capire e monitorare regolarmente lo stato di salute ed i mutamenti della natura e dell’ambiente a livello comunale.
Realizzare un bilancio ambientale, su base annuale, è di per sé un valore importantissimo, ma questa iniziativa si distingue, in modo particolare, nella scelta di realizzarla in modo partecipato, grazie a rilevamenti effettuati insieme ai cittadini che vorranno unirsi in questa esperienza, fornendo il proprio aiuto ed entusiasmo.
I rilevamenti riguarderanno 6 macro-aree d’indagine:

Biodiversità Mobilità sostenibile

Sviluppo edilizio Rifiuti

Inquinamento Verde urbano.

Per ognuna di queste macro-aree di indagine si raccoglieranno dati e si analizzeranno i risultati, al fine di capire lo stato attuale dell’ambiente, per poter dare una spinta decisa verso la conservazione del territorio e la sostenibilità, ricordando che:

Non abbiamo ereditato questo mondo dai nostri genitori, l’abbiamo preso in prestito dai nostri figli”.

Grafiche vettoriali Designed by Wannapik

Tra prefabbricati e tabacchificio – quale futuro?

Pubblichiamo di seguito un contributo a firma di numerosi componenti dell’Antenna Ecomuseale di Leverano, rispetto alle trasformazioni attualmente in corso nell’area dell’ex tabacchificio sull’area mercatale a Leverano.
Qualora vi siano altri interventi su questo stesso tema, da parte di altri componenti dell’Ecomuseo, cureremo di pubblicarli in modo analogo, per mostrare differenti punti di vista (spedire i contributi a ecomuseo.terradarneo@gmail.com)

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Un pezzo importante di Leverano sta cambiando sotto i nostri occhi, una parte della nostra storia prenderà presto un aspetto del tutto diverso.

L’ex-tabacchificio dell’area mercatale era stato incluso, fin dall’approvazione del PPTR nel 2015, nella cosiddetta “Città Consolidata”, un’area che racchiude la città edificata nella prima metà del ‘900, Un vincolo non assoluto, ma importante da considerare, in funzione dei singoli progetti e degli impatti delle trasformazioni conseguenti.

Come Ecomuseo, abbiamo inoltre inserito l’ex-tabacchificio nell’elenco dei beni importanti per la comunità, all’interno dell’Atlante del Patrimonio di Comunità, un elenco che impegna l’Amministrazione Comunale a considerare con particolare riguardo i beni in esso inclusi, qualora vengano presentati progetti che li riguardano, ma naturalmente quanto vediamo in opera riguarda permessi richiesti in un periodo ben precedente, in cui l’Atlante e la scheda sul tabacchificio non erano ancora stati presentati ed approvati.

Quanto sta accadendo è quindi del tutto corretto e legittimo dal punto di vista legale e procedurale; come Componenti dell’Antenna Ecomuseale di Leverano, come membri della comunità, sentiamo in ogni caso il dovere di testimoniare gli effetti sulla comunità di quanto sta accadendo, delle trasformazioni in corso.

Elaborazione 2-4

Come Componenti dell’Antenna Ecomuseale di Leverano, Cittadini ed Associazioni, abbiamo deciso che questo fosse il momento per un comunicato, vorremmo infatti che questo evento fosse uno spartiacque, vorremmo un futuro in cui, in casi analoghi, le cose possano prendere direzioni diverse.

E’ per questo che stiamo lavorando ogni giorno, implementando l’Atlante del Patrimonio di Comunità, è per questo che abbiamo presentato suggerimenti per il nuovo piano urbanistico, per aumentare la trasparenza sui nuovi progetti e facilitare il coinvolgimento della comunità fin dall’inizio, in decisioni che riguardano noi tutti e la nostra storia comune.

Perché per Leverano, invece di un paesaggio di anonimi capannoni, vorremmo un domani diverso, che celebri le radici del nostro passato, che le sappia valorizzare per creare un’economia stabile ed una crescita equa, con vantaggi diffusi per tutti ed attenzione ai luoghi, quei luoghi che ci raccontano, diversi da qualsiasi altro luogo, che ci rendono unici di fronte al mondo.

I componenti dell’Antenna Ecomuseale di Leverano:

Valentino Traversa
Monia Chirizzi
Angela Durante
Ignazio Genna
Ilaria Lecciso
Filomena My
Paolo Paladini
Leonardo Tondo
Luigi Tondo
Fernando Vantaggiato
Assunta Zecca

Le Associazioni componenti l’Ecomuseo:

Circolo Tandem
Legambiente Leverano e della Terra d’Arneo
Novellando Teatri d’Arte

Il progetto SPREAD – Comunità Empatiche

Nel 2012 la Comunità Europea finanziò uno studio partecipato che coinvolse numerose nazioni, nell’immaginare possibili scenari di vita futura compatibili con un uso equilibrato delle risorse, il progetto SPREAD – “Scenarios for Sustainable Lifestyles 2050: From Global Champions to Local Loops“.

Utilizzando la metodologia EASW (European Awarness Scenario Workshop – Laboratori Europei di Consapevolezza di Scanario), il progetto sviluppo quattro possibili scenari basati su due coppie di alternative, tecnologia locale o globalizzata e meritocrazia o empatia sociale; tutti gli scenari prevedevano una diminuzione nell’uso delle risorse dall’insostenibile livello attuale, pari mediamente a 33.500 kg di consumo equivalente procapite, al livello sostenibile di 8.000 kg procapite, una diminuzione superiore a tre quarti rispetto al livello di consumi attuali.

Gli esiti del progetto, di grande interesse, non furono però mai tradotti in italiano; a parziale copertura di questa mancanza abbiamo provveduto a tradurre uno dei quattro scenari, che è quello forse di maggiore interesse per le comunità ecomuseali, quello delle “Comunità Empatiche”.

Questo scenario è di grande interesse anche nell’attualità, in un momento in cui la crisi del mercato globale pone l’accento sulla capacità di resilienza dei territori locali, per cui la lettura del documento può essere una valida fonte di riflessione ed inspirazione per il nostro comune futuro.

Comunità Empatiche – progetto SPREAD2020-03-16_2121

Nebbie, alberi e Xylella: in cerca del paesaggio futuro

Contributo a cura del Dott. For. Valentino Traversa

Nell’ultima settimana di ottobre 2019, complici le temperature molto più alte della media del periodo, l’Arneo è stato avvolto dalle nebbie.

Alle alte temperature si è poi sommata l’assenza delle piogge, per cui il terreno presentava in una veste inusuale per il periodo, pressoché completamente inaridito e privo della nuova vegetazione.

Si tratta di serie climatiche che si manifestano con sempre maggior frequenza, legate al progressivo aumento delle temperature, con associata una forte instabilità climatica, per cui già possiamo prevedere, quando alla fine un fronte freddo riuscirà a penetrare nella bolla di calore che ci avvolge, piogge a carattere torrenziale, con associati allagamenti e grandinate di notevole intensità.

Da un punto di vista scientifico, un cambiamento climatico continuo, progressivo ma concentrato in pochi decenni è un fatto unico ed è necessario, oltre a combattere le cause antropiche che producono questo effetto, interrogarsi sulle interrelazioni tra il cambiamento in corso ed le modifiche locali dell’ambiente che ci circonda, frutto di abitudini culturalmente fissate, abitudini che potevano essere tollerabili in un clima più stabile, ma che adesso possono produrre fattori capaci di moltiplicarsi a vicenda, causando danni gravi.

L’estate del 2019, sebbene più ricca di precipitazioni dell’usuale, ha comunque visto il ripetersi di abitudini inveterate che tanto danno provocano all’ambiente, ossia l’abitudine ad appiccare il fuoco ad ogni area naturale, ad ogni popolamento vegetale che non sia frutto di coltura agricola.

Ad esempio, per citare aree che frequento abitualmente, all’inizio delle’estate è stato appiccato il fuoco in zone di macchia e pseudosteppa alla Fichella, nell’agro di Leverano, nonché a vaste aree con vegetazione a macchia e pseudosteppa al di sopra del Bacino Grande nel territorio di Porto Cesareo, all’interno della Riserva naturale “Palude del Conte e duna costiera“.

Purtroppo bisogna anche osservare come questi eventi sono diventati particolarmente frequenti negli ultimi anni, a causa di una sorta di “caccia all’untore” scatenata da una cattiva comunicazione sul tema Xylella, che non ha mai affermato l’ovvio, ossia di come nelle aree naturali la concentrazione della sputacchina (Philaenus spumarius) sia estremamente limitata, per via dei numerosi predatori e parassitoidi naturali che le aree naturali ospitano.

Per un buon conoscitore delle specie della macchia mediterranea non è difficile, ad esempio, rendersi conto di come le piante di macchia che subiscono disseccamenti per effetto della Xylella (come il mirto) siano solo quelle situate in prossimità degli olivi coltivati, mentre all’interno delle aree di macchia le piante non presentano alcuna sintomatologia: è la macchia che viene danneggiata dalla Xylella presente negli oliveti e non il contrario, anzi, potremmo affermare che la presenza di habitat stabili che ospitano le specie predatrici della sputacchina, come le siepi mediterranee, costituisca un fattore di rallentamento nella progressione dell’infezione.

Tornando ai popolamenti vegetali a macchia e pseudosteppa presenti sulle alture di fronte alle coste di Porto Cesareo, la mancanza di precipitazioni autunnali ha fatto sì che dopo gli incendi dolosi di quest’anno anche i cespi delle graminacee tipiche della pseudosteppa, ossia Cymbopogon hirtus (L.) Janchen non siano riusciti a rivegetare, ma cosa significa questo in pratica, ossia quali sono gli effetti diretti ed a breve termine di un evento del genere sulla popolazione?

Di norma, infatti si parla in termini generali, su scala mondiale, ma non si entra nel merito come si dovrebbe, parlando del cosiddetto “valore ecosistemico“, ossia di come il funzionamento delle aree naturali ci faccia risparmiare spese talora estremamente ingenti o prevenire rischi per la popolazione.

La prima osservazione da fare riguarda proprio le nebbie: in una condizione climatica limite la presenza di umidità al suolo può fare la differenza tra un popolamento vegetale come la pseudosteppa e la desertificazione.

Consideriamo queste due foto prese nella stessa mattinata, dopo mesi di mancanza di precipitazioni:
Terreno bagnato
Terreno asciutto
in una si vede del terreno bagnato, dovuto al fatto che si trova al di sotto di alcuni pini d’Aleppo superstiti agli incendi – durante le mattinate nebbiose sotto agli alberi pioveva letteralmente, perché le loro chiome funzionavano come reti per catturare le microgocce di umidità sospese nell’aria; nell’altra, scattata a pochi metri di distanza, al di fuori della chioma degli alberi, il terreno è duro e completamente asciutto, perché non vi era né la presenza d’alberi né quella di steli d’erba (anche secca), che riuscissero a catturare l’umidità ambientale.

Ma senza umidità, come si diceva, neanche le resilienti graminacee riescono a germogliare, dopo che la loro parte aerea è stata distrutta dal passare del fuoco, quindi stiamo creando tutti i presupposti perché né l’erba né gli alberi riescano più a crescere in questo luogo e questo, a sua volta, peggiora e rende più acute le condizioni climatiche, sia come riduzione delle precipitazioni, sia come aumento degli effetti dei venti.

Questi due effetti implicano una diminuzione dell’acqua assorbita dal suolo e conseguentemente, diminuendo l’acqua che arriva in falda, si aumenta la salinizzazione dell’acqua dei pozzi.

Ma non solo: l’effetto immediato più importante dell’avere ridotto un paesaggio ad uno scheletro è che, quando come si diceva arriveranno le precipitazioni temporalesche, le cosiddette “bombe d’acqua”, la capacità della vegetazione di frenare, far assorbire nel suolo e regimare l’acqua di questi eventi verrà a mancare: cosa succederà allora alle case poste ai piedi di queste alture, ossia all’intero abitato di Porto Cesareo, ed in particolare alle case e stabilimenti balneari posti vicino alle zone di compluvio, come vicino alla zona dei bacini?

Ci aspettiamo uno scorrimento superficiale dell’acqua impetuoso, che trascinerà via quanto rimane del suolo per portarlo a valle, verso gli insediamenti residenziali e turistici, con danni potenziali che è difficile stimare se non nell’ordine di grandezza – sicuramente parliamo di milioni di euro.

L’acqua, da portatrice di vita quando assorbita dai terreni e filtrata per giungere in falda, si trasformerà in potatrice di distruzione, non trovando più il modo giusto di entrare nei cicli naturali di crescita.

Con l’effetto che le colline resteranno con meno suolo (per produrre un centimetro di suolo occorrono circa 100 anni, per questo si dice che è una risorsa non rinnovabile alla scala temporale umana), quindi meno vegetazione, meno capacità ancora di captare acqua e di regimarla.

Bisognerebbe finire qui, ma la cosa ahinoi, riguarda adesso anche le aree degli oliveti, danneggiati o distrutti dalla Xylella: se la società pugliese non riuscirà a trovare la forza per un riutilizzo compatibile dei terreni olivetati, che comprenda alberi ed arbusti oltre alle colture annuali, i danni saranno di questo tipo, ma esponenziali.

Adesso è il momento di agire, per determinare la direzione del futuro comune, chiudiamo ad esempio con le foto dell’area prima degli incendi, senza ulteriori commenti.

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“Leverano si racconta” – personale di fotografia di Sergio Limongelli

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I territori e i luoghi vanno raccontati, non solo e non tanto per visitatori e turisti, ma per dar luce allo sguardo di chi ci vive.

A tutti, infatti, presi dalla quotidianità, capita di passare frettolosamente di fronte ad opere e scorci che raccontano storia ed arte delle generazioni che si sono succedute, messaggi d’amore, potenza e bellezza che attraversano i secoli per giungere fino a noi.

Ed è per questo che la visione degli artisti assume una straordinaria importanza, nel riuscire a rompere il velo della quotidianità, dando modo ad una Comunità di riappropriarsi della bellezza silente che così acquista voce, tradotta in sussurri, risate e grida nelle forme e colori di luoghi e monumenti che l’artista insegue e cattura, in questo caso nello spazio visivo di una reflex digitale.

Sono scorci sorprendenti, quelli che ci regala “Leverano si racconta“, la mostra degli scatti di Sergio Limongelli su Leverano, un vero sussulto nel petto per ogni immagine e colore, le vista sorprendente su un patrimonio che è opera corale di una Cittadina e delle sue Genti.

Da un punto di vista ecomuseale c’è l’importanza di focalizzarsi sui minimi dettagli – nei dettagli si nasconde Dio – si diceva un tempo, arricchendo quell’iconografia personale di cui vive l’identità di una comunità, educando e formando un gusto che deve riuscire a trovare specifici modi d’esprimersi anche nei nostri tempi, come sfida per chi si trova oggi a progettare sul territorio.

Si tratta di un lavoro di rinnovamento e rivisitazione nel rapporto tra luoghi e persone che trova così una nuova tappa; le foto di Sergio Limongelli già hanno arricchito i pannelli tattili che sono stati installati ed inaugurati nel corso dell’anno, frutto dell’impegno dell’Amministrazione Comunale in collaborazione con l’Ecomuseo Terra d’Arneo, una collaborazione proficua che porta sempre nuovi frutti, come nei testi che accompagnano la mostra, dove si prova a raccontare in modo nuovo la storia dei monumenti, vedendoli dal punto di vista di chi li ha costruiti e vissuti.

“Leverano si racconta” – personale di fotografia di Sergio Limongelli promossa dall’Amministrazione Comunale di Leverano
Opere fotografiche: avv. Sergio Limongelli
Consulenza scientifica e storico-artistica: dott.ssa Viviana Blasi
Grafica: arch. Antonio Re
Testi pannelli: dott. Valentino Traversa
Allestimento a cura di avv. Sergio Limongelli, arch. Antonio Re, arch. Marcello Rolli, arch. Rocco Rolli, avv. Cosimo Tarantino, avv. Walter Tundo.
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Corso gratuito per facilitatori territoriali della Terra d’Arneo

Il LUA, Laboratorio Urbano Aperto di Lecce, insieme con L’Ecomuseo Terra d’Arneo organizza, nell’ambito del processo partecipativo “Verso il PUG: Leverano disegna il suo futuro”, selezionato e finanziato nell’ambito del Programma Annuale della Partecipazione della Regione Puglia “#PugliaPartecipa”, un corso teorico-pratico di base per la formazione di 25 facilitatori nei processi di partecipazione, orientato in particolare all’attivazione di processi di pianificazione e gestione partecipata del territorio ai fini ecomuseali.

Il corso è rivolto a tutti coloro che vogliano attivarsi per promuovere attività partecipate di tipo ecomuseale, indirizzate allo sviluppo di una identità territoriale comune ed al coinvolgimento attivo della cittadinanza, promuovendo la nascita di politiche territoriali dal basso, attraverso l’organizzazione di incontri pubblici per il censimento, la mappatura, il monitoraggio e la gestione dei “beni di comunità”, ovvero tutti quegli elementi identitari, materiali od immateriali che contribuiscono a formare l’identità delle comunità in relazione al territorio di appartenenza.

Il corso si articola in quattro giorni di formazione, dal 9 al 12 settembre 2019, con incontri pomeridiano-serali di tre ore e mezza ciascuno (18:00-21:30), cui seguirà una fase di sperimentazione sul campo, in cui i partecipanti al corso collaboreranno attivamente nel dare vita a quattro incontri di “narrazioni di quartiere”, previsti all’interno del percorso partecipato per la redazione del nuovo Piano Urbanistico Generale di Leverano, che avranno luogo tra la fine di settembre e l’inizio di novembre 2019.

I partecipanti svilupperanno la propria capacità di organizzazione, facilitazione ed elaborazione al fine di poter avviare o espandere “un’antenna ecomuseale” dell’Ecomuseo Terra d’Arneo all’interno del proprio Comune di residenza, elemento essenziale per riscoprire, rafforzare e rinnovare il senso di appartenenza delle diverse Comunità alla Terra d’Arneo, un comprensorio dalle caratteristiche storiche e paesaggistiche uniche, ben individuato all’interno del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (PPTR).

Il corso è gratuito ed a numero chiuso, per un massimo di 25 partecipanti; possono candidarsi alla call tutti i cittadini maggiorenni, residenti in uno dei nove Comuni compresi nel territorio dell’Ecomuseo Terra d’Arneo (Copertino, Guagnano, Leverano, Nardò, Porto Cesareo, Salice Salentino, San Donaci, San Pancrazio, Veglie).

Per maggiori dettagli ed informazioni si rimanda al bando ed alla scheda di candidatura.

Bando

Scheda di candidatura

Appunti dal Forum Nazionale “Ecomusei e territorio – quale futuro?” – Terza parte

Foto di copertina di Luigi Tondo – Impasti – relazioni e pattern identitari.

Continua dalla seconda parte.

Dalla Regione Lombardia abbiamo poi avuto il piacere di ascoltare Grazia Aldovini, della Direzione Generale Autonomia e Cultura AESS.

Secondo la Relatrice, l’esperienza Lombarda nasce dalla lettura dei valori ecosistemici e paesaggistici e dal trovare attività periodiche (alcune delle quali con ricorrenza poliannale, come la “Santa Crus” dell’Ecomuseo Concarena Montagna di Luce, che si ripete ogni dieci anni).
La distanza temporale che separa il ripetersi degli eventi, insieme con la loro ritmicità, permette la crescita di un senso di aspettativa che permea la percezione di una ricorrenza, che diviene così capace di unire insieme generazioni diverse, concentrando al meglio le energie delle comunità.

Altrettanto importante è poi il senso di apertura verso l’esterno, strettamente connesso alla nascita di un “sé” distinto, nell’evoluzione identitaria di una comunità.
In questo senso, la definizione di ecomusei come “una comunità che riflette su se stessa, su cosa la rende unica e distinta dalle altre”, continua idealmente in “e capace di presentarsi al mondo”.

In questo senso va la presentazione, da parte della Relatrice Grazia Aldovini, della piattaforma “Intangible Search” della Regione Lombardia, un inventario del patrimonio immateriale che diviene centro per la catalogazione, capace di “tastare il polso” con continuità al patrimonio di comunità, riuscendo al contempo a valutare la capacità “legante” di nuove iniziative ed eventi.

Maria Rosa Bagnari, dell’Ecomuseo Erbe Palustri di Villanova di Bagnocavallo, ci ha permesso poi di apprezzare la sincerità alla base dell’autentica azione ecomuseale.

Quella dell’Ecomuseo Erbe Palustri è la storia di una singola esperienza che si evolve naturalmente, divenendo rete di pratiche.
Anche per l’Ecomuseo Erbe Palustri, come spesso accade, l’origine è una criticità, la quasi estinzione della tradizione di lavorazione del giunco, un sapere artigianale che nel passato costituiva il fulcro della Comunità.

Solo grazie all’iniziativa dei singoli (tra i quali indispensabile il ruolo della nostra Relatrice), si è arrivati al recupero delle tecniche che stavano svanendo, con risultati che hanno portato, nel proseguire le attività, a svolte inattese.
Da quel fuoco iniziale di passione e tenacia è nata la riscoperta del sentirsi Comunità, che ha visto le persone coinvolte nelle diverse attività dell’Ecomuseo fino alla fine (da parte dei più anziani partecipanti c’è stata la richiesta, poi esaudita, di avere il simbolo dell’Ecomuseo inciso sulla propria lapide commemorativa), ma anche una nuova attenzione al territorio, alle zone umide che stavano sparendo, al fiume come elemento di connessione delle diverse comunità con il paesaggio ed ai saperi artistici ed espressivi tradizionali.

In questo modo, quello che era partito come esperienza singola, ma basata su un sincero sentire, è divenuto nel tempo stimolo, per altre azioni e nuovi progetti, al comunicare e connettersi con le comunità vicine (connessione che è arrivata fino al gemellaggio con l’Ecomuseo di Acquarica del Capo, nel Salento) e a trovare la forza per presentarsi al mondo con una forte identità condivisa, articolata nelle distinzioni fra i singoli comuni.

Continua nella quarta (ed ultima) parte.

Appunti dal Forum Nazionale “Ecomusei e territorio – quale futuro?” – Seconda parte

Continua dalla prima parte

Un altro intervento molto significativo è stato quello di Nerina Baldi, Direttrice del Sistema Ecomuseale di Argenta e componente del Coordinamento Nazionale degli Ecomusei.

La Relatrice ha fatto il punto della situazione, indicando, in particolare, le direzioni di scambio di esperienze e ricerca che stanno avendo luogo a scala nazionale.

Un focus di ricerca attiva riguarda i progetti portati avanti dagli ecomusei nel campo del sociale e della micro-economia dei territori.
L’equilibrio degli ecomusei – ci riferisce Nerina Baldi – si sta spostando in modo da favorire concetti dinamici di operatività, rispetto ad un’ottica di pura catalogazione e conservazione.
Si sta affermando una visione secondo la quale, per rinsaldare i legami tra comunità e territori, occorre considerare l’interezza delle relazioni che ivi si svolgono, cercando di trovare i modi in cui l’ecomuseo possa intervenire sui processi in corso, proponendo direzioni alternative che rafforzino il senso dei luoghi e la loro identità.

Dunque, alle tradizionali attività di riscoperta, tutela ed informazione-educazione, si aggiungono le possibilità di creazione ed innovazione, attraverso le quali l’ecomuseo può divenire luogo d’incontro e comunicazione tra parti diverse della società.
È un processo attraverso cui arrivare alla creazione di una visione condivisa di futuro, un patto in cui anche le attività economiche, a livello locale, vengono coinvolte, riconosciute e responsabilizzate come elementi essenziali del territorio.

Diventa quindi essenziale, come priorità emergente, anche la capacità di interfacciarsi con i Piani di Sviluppo Rurale e Locale: il ruolo di un ecomuseo può divenire anche quello di aiutare a definire le direzioni ed i parametri affinché lo sviluppo perseguito dai Piani agisca nel senso di aumentare la coerenza di comunità e territori.

La facilitazione ecomuseale trova così nuovi orizzonti di espressione, permettendo il dialogo tra settori diversi ed aiutandoli a ritrovare il senso di un agire che sia sì economico, ma al contempo anche culturale, ecologico ed identitario.

Sull’esperienza “di rete” c’è stato poi l’intervento di Rita Auriemma, Professoressa dell’Università del Salento e Direttrice del Servizio catalogazione, formazione e ricerca dell’ERPAC (Ente Regionale PAtrimonio Culturale della Regione Friuli Venezia Giulia).

Dell’esperienza mutuata nel Friuli Venezia Giulia, la Prof.ssa Auriemma ha sottolineato l’importanza di portare avanti progetti che enfatizzino il “valore d’uso” del patrimonio di comunità.
L’intangibile, come anche i singoli beni del patrimonio, possono rimanere vivi unicamente nella loro continua ri-creazione da parte delle persone che si sentono parte di quella data comunità.

Possiamo immaginarli come sentieri: fino a che questi vengano percorsi con costanza, si mantengono aperti, diversamente tendono sempre ed inesorabilmente a scomparire, divenendo traccia storica di qualcosa che non è più.
Continuare a percorrere questi sentieri, che attengono sia allo spazio fisico (itinerari) che a quello mentale (identità) di una comunità, significa continuare a collegare, a tenere insieme le relazione tra patrimonio culturale e paesaggio.

Per riuscirvi, tuttavia, occorre spesso ripensare l’identità nella contemporaneità, riproporre l’eredità culturale e territoriale in chiave dinamico-evolutiva.

I modi per tenere aperte queste connessioni, queste “sinapsi di comunità” (in un parallelo con quello che affermava il premio Nobel Montalcini, sulla continua generazione, dissoluzione e rigenerazione delle sinapsi neurali negli individui) possono essere diversi; tra quelli sperimentati dalla rete del F.V.G. ci sono i “video di micronarrazione”, del Geoportale della Cultura Alimentare la cui realizzazione è affidata spesso agli studenti, in modo da renderli protagonisti creativi nella trasmissione dell’eredità culturale, rafforzando contemporaneamente la vitalità delle tradizioni ed il senso di appartenenza.

Continua nella terza parte